04-06-2008
VITTORIA DI OBAMA, SARA' LUI IL CANDIDATO. PER L'AMERICA OGGI E' UN GRANDE GIORNO
Ora si attendono le mosse di Hillary L’ultima conferma è arrivata. Quella matematica. Quella che consegna al senatore dell’Illinois, Barack Obama, la nomination democratica alla Casa Bianca. In Italia è notte fonda, quando in America vengono divulgati i risultati degli ultimi due stati chiamati a decidere tra i due contendenti. All’inizio della corsa i cittadini del Montana o del Sud Dakota non potevano immaginare che il loro voto avrebbe suscitato tanta attenzione. Ma la snervante (e magnifica) sfida che ha visto protagonisti i due senatori democratici ha imposto che l’ultima parola spettasse proprio a loro. Ai due stati che hanno consentito a Barack Obama di superare il quorum di 2118 delegati. «La senatrice Hillary Clinton ha fatto storia in questa campagna, non solo perché è una donna che ha fatto ciò che nessun altra donna ha fatto prima, ma perché è una leader che ispira milioni di americani con la sua forza, il suo coraggio, e il suo impegno per le cause che ci hanno portato qui oggi». Sono parole di elogio quelle pronunciate da Obama nel suo primo discorso da candidato ufficiale alla Casa Bianca. Sono parole che riconoscono il merito ad un’avversaria agguerrita e capace. E sono anche parole che nascondono diplomatiche strategie. La sfida, ora, sposta la sua attenzione su un nuovo baricentro. Non più il duello Obama-Clinton, ma la contesa, tra Democratici e Repubblicani, dell’ufficio più prestigioso d’America. In questo contesto, Hillary Clinton rappresenta un pezzo fondamentale del puzzle. Per il suo valore politico, certo, ma anche per la forza finanziaria che rappresenta (non trascurabile nei difficili mesi che precedono il voto generale) e per quei 17 milioni di elettori che l’hanno preferita ad Obama. Con le sue parole, il candidato democratico ha sì chiarito i ruoli, ma ha anche aperto quel dialogo che nei giorni scorsi era stato al centro del gossip politico. Un dialogo aperto con la senatrice di New York che la porti a sostenere la sua campagna contro McCain da vicepresidente. Una soluzione, questa, che metterebbe a frutto l’enorme attenzione mediatica dedicata al duello fra i democratici e capitalizzerebbe le diverse qualità che, sia Obama che la Clinton, sono capaci di offrire. Infine, il cosiddetto dream ticket, metterebbe l’anima in pace ai numerosi superdelegati che ancora sono rimasti nell’ombra dell’indecisione e che ora sono costretti, grazie alla vittoria decretata dal voto popolare, ad uscire allo scoperto e rinunciare agli indugi. Ha cominciato l’ex presidente Jimmy Carter, ora spetta a tutti gli altri. Sarà il primo segnale che, dopo l’esigenze di campagna elettorale che avevano necessariamente diviso il partito, ora i democratici sono uniti per la sfida più importante e più difficile. Quella contro il Grand Old Party e il suo imprevedibile candidato, John McCain.
VITTORIA DI OBAMA, SARA' LUI IL CANDIDATO. PER L'AMERICA OGGI E' UN GRANDE GIORNO
Ora si attendono le mosse di Hillary L’ultima conferma è arrivata. Quella matematica. Quella che consegna al senatore dell’Illinois, Barack Obama, la nomination democratica alla Casa Bianca. In Italia è notte fonda, quando in America vengono divulgati i risultati degli ultimi due stati chiamati a decidere tra i due contendenti. All’inizio della corsa i cittadini del Montana o del Sud Dakota non potevano immaginare che il loro voto avrebbe suscitato tanta attenzione. Ma la snervante (e magnifica) sfida che ha visto protagonisti i due senatori democratici ha imposto che l’ultima parola spettasse proprio a loro. Ai due stati che hanno consentito a Barack Obama di superare il quorum di 2118 delegati. «La senatrice Hillary Clinton ha fatto storia in questa campagna, non solo perché è una donna che ha fatto ciò che nessun altra donna ha fatto prima, ma perché è una leader che ispira milioni di americani con la sua forza, il suo coraggio, e il suo impegno per le cause che ci hanno portato qui oggi». Sono parole di elogio quelle pronunciate da Obama nel suo primo discorso da candidato ufficiale alla Casa Bianca. Sono parole che riconoscono il merito ad un’avversaria agguerrita e capace. E sono anche parole che nascondono diplomatiche strategie. La sfida, ora, sposta la sua attenzione su un nuovo baricentro. Non più il duello Obama-Clinton, ma la contesa, tra Democratici e Repubblicani, dell’ufficio più prestigioso d’America. In questo contesto, Hillary Clinton rappresenta un pezzo fondamentale del puzzle. Per il suo valore politico, certo, ma anche per la forza finanziaria che rappresenta (non trascurabile nei difficili mesi che precedono il voto generale) e per quei 17 milioni di elettori che l’hanno preferita ad Obama. Con le sue parole, il candidato democratico ha sì chiarito i ruoli, ma ha anche aperto quel dialogo che nei giorni scorsi era stato al centro del gossip politico. Un dialogo aperto con la senatrice di New York che la porti a sostenere la sua campagna contro McCain da vicepresidente. Una soluzione, questa, che metterebbe a frutto l’enorme attenzione mediatica dedicata al duello fra i democratici e capitalizzerebbe le diverse qualità che, sia Obama che la Clinton, sono capaci di offrire. Infine, il cosiddetto dream ticket, metterebbe l’anima in pace ai numerosi superdelegati che ancora sono rimasti nell’ombra dell’indecisione e che ora sono costretti, grazie alla vittoria decretata dal voto popolare, ad uscire allo scoperto e rinunciare agli indugi. Ha cominciato l’ex presidente Jimmy Carter, ora spetta a tutti gli altri. Sarà il primo segnale che, dopo l’esigenze di campagna elettorale che avevano necessariamente diviso il partito, ora i democratici sono uniti per la sfida più importante e più difficile. Quella contro il Grand Old Party e il suo imprevedibile candidato, John McCain.
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